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Attività

Aspen Collective Mind Seminar: Processi Industriali, Processi Culturali

    • Venezia
    • 10 Ottobre 2021

          Cultura e tecnica possono oggi apparire, a uno sguardo superficiale, due dimensioni estranee tra loro. Ma non è sempre stato così. La tradizione classica e quella rinascimentale italiana vedevano una costante contaminazione tra umanesimo e scienza, che solo il Novecento ha separato. Ricomporre adesso questo binomio e ricreare una “cultura politecnica” può rivelarsi fondamentale per affrontare al meglio grandi cambiamenti come la transizione digitale e quella ambientale, che stanno già mutando radicalmente le nostre abitudini di vita e che in futuro lo faranno sempre di più. Per fare ciò, una rinnovata cultura politecnica deve tenere insieme, da un lato, la comprensione di un contesto politico e sociale in continua evoluzione e, dall’altro, l’analisi delle sfide e delle possibilità per l’economia offerte dallo sviluppo tecnologico.

          Storicamente, si assisteva a una rivoluzione industriale ogni cento anni circa, mentre oggi le trasformazioni tecnologiche più rilevanti si susseguono, in media,  al ritmo di una ogni quinquennio. Tra i principali elementi dell’attuale quarta rivoluzione industriale c’è la diffusione dell’Intelligenza Artificiale, attraverso il cui uso – ad esempio – è possibile superare il paradigma industriale classico che opponeva produzione di massa e personalizzazione del prodotto. Si giunge così a una “customerizzazione di massa” fatta di beni e servizi ritagliati sulle esigenze dei singoli utenti, con effetti significativi anche in termini di sostenibilità. Appare evidente, però, che l’IA non può e non deve sostituire ma integrare la figura umana. Essa deve essere guidata dall’uomo e al tempo stesso guidarne, in parte, i comportamenti e le decisioni. Ciò permette di massimizzare gli effetti benefici di inclusione e di maggiore fruibilità della tecnologia, a discapito di quelli negativi come le fratture sociali e il digital divide, sia per i consumatori che per i lavoratori. Come tutte le rivoluzioni, dunque, anche quella digitale e quella ambientale vanno guidate avendo ben chiari i propri obiettivi e i mezzi per raggiungerli. Questo richiede una classe dirigente – fatta di imprenditori, di decisori politici e “semplici” cittadini – maggiormente competenti e consapevoli delle possibili ricadute economiche ma anche sociali del proprio operato, in un ritrovato senso di comunità.

          A tale scopo, una delle prime sfide per l’Italia è quella di migliorare l’indice di digitalizzazione dei propri cittadini e la qualità complessiva del capitale umano, parametri che vedono il Paese rispettivamente al quintultimo e all’ultimo posto nel rapporto DESI della Commissione Europea. Al di là degli interventi infrastrutturali, lo strumento più efficace per fornire prima ai singoli, poi alle organizzazioni e alle imprese le competenze necessarie per comprendere e guidare i cambiamenti rimane quello della formazione. Naturalmente, essa va riformulata e adattata alle richieste del mondo che la circonda, senza limitarsi ad inseguirle. Per riequilibrare i tempi dello studio con quelli della produzione – al momento, i primi coprono un arco che arriva fino ai venti anni e oltre mentre i secondi, come visto, sono molto più rapidi – occorre puntare sulla trasmissione di strumenti per l’analisi delle complessità piuttosto che sugli specifici contenuti e incrementare le capacità di dibattito e di pensiero critico. Il dialogo tra competenze, la multidisciplinarietà e la trasversalità dei percorsi formativi favoriranno la creazione di profili più robusti, sostenuti anche da attività di formazione continua lungo il corso della vita per affrontare i rapidi cambiamenti socio-economici e l’incertezza dei tempi.

          L’Italia ha senza dubbio numerosi vantaggi competitivi di partenza – dall’arte alla storia, dalla creatività alla flessibilità insite nella sua tradizione culturale – che possono unirsi agli strumenti digitali per generare valore sotto forma di beni e servizi, con alti livelli di innovazione nelle imprese e la nascita di grandi brand di successo. Questi stessi elementi del sapere italiano possono inoltre contribuire alla nascita di una nuova generazione di manager, composta da figure ibride di ingegneri-poeti, di tecnici-filosofi, di ricercatori-artisti e così via. La formazione offerta dai licei italiani, ad esempio, già oggi rappresenta un unicum mondiale per come punta ad una preparazione solida nelle scienze umanistiche, che sono e saranno tra gli ingredienti principali per esprimere una innovazione centrata sull’essere umano.

          Naturalmente, la gestione di questa macro-transizione – digitale, economica ma anche sociale – non può prescindere dal ruolo attivo della politica, che è chiamata a investire nella filiera educazione-ricerca-innovazione con un patto che vada oltre la frammentazione tipicamente italiana, per costruire un sistema moderno e coerente con i grandi cambiamenti in corso.

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