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Il trapianto senza rigetto inizia prima della nascita. Intervista a Paolo De Coppi

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    • 30 Ottobre 2012
    • Ottobre 2012
    • 30 Ottobre 2012

    Diagnosticare le malformazioni prima della nascita e creare in laboratorio nuovi organi da impiantare nel neonato senza rischi di rigetto. Le prossime sfide della medicina rigenerativa passano dal Great Ormond Street Hospital di Londra dove Paolo De Coppi – membro della comunità “I talenti italiani all’estero” di “Aspen Institute Italia” – è primario di chirurgia pediatrica: il suo team ha già realizzato i primi trapianti di trachea sui bambini e punta, in futuro non lontano, a correggere alla nascita le malformazioni congenite usando le cellule stesse del feto prelevante all’amniocentesi.

    Oggi nei trapianti è possibile superare il problema del rigetto creando organi in laboratorio. Come si è arrivati a questo risultato?
    La medicina rigenerativa si occupa di ricostruire organi con le cellule dell’organismo del paziente ed è quindi un ponte tra la trapiantologia e la medicina. Diversi anni di studio ci hanno permesso di arrivare fino in sala operatoria: abbiamo già effettuato, infatti, i primi interventi sui bambini per il trapianto della trachea.
    Normalmente quando si trapianta un organo di un’altra persona il ricevente tende a percepire questo nuovo organo come estraneo. Noi invece abbiamo preso le cellule staminali dei nostri pazienti, le abbiamo espanse e in questo modo siamo riusciti a costruire in laboratorio una trachea che non venisse rigettata.  In pratica abbiamo dovuto prendere un organo di una persona deceduta, togliere tutte le cellule del donatore e seminare quelle del ricevente. La sfida del futuro è quella di  ingegnerizzare organi più complessi: pensiamo al fegato, al polmone, al cuore.

    Siete riusciti anche a realizzare interventi su neonati. Com’è possibile creare un organo per una persona appena nata?
    La mia ricerca riguarda le malformazioni congenite, in particolare quelle che vengono diagnosticate prima della nascita. Quando si scopre che nel feto c’è,  per esempio, un muscolo mancante – pensiamo al diaframma – il passo successivo è quello di ingegnerizzare quel muscolo prendendo le cellule del feto stesso. È possibile intervenire alla nascita perché la gravidanza ci fornisce il tempo necessario per la preparazione: la diagnosi di queste malattie viene fatta intorno alla ventunesima settimana, prima del sesto mese. Di recente abbiamo dimostrato che le cellule staminali amniotiche possono assumere le stesse caratteristiche di quelle embrionali senza alcuna manipolazione genica:  speriamo in un futuro non lontano di correggere alla nascita le malformazioni congenite usando le cellule stesse del feto prelevante all’amniocentesi.

    Esistono anche in Italia ricerche in questo ambito?
    Le eccellenze in Italia nell’ambito della medicina rigenerativa e delle cellule staminali esistono, anche se l’ambiente non è sempre favorevole. Personalmente, continuo a collaborare con l’Università di Padova – dove mi sono laureato – e ho aperto un piccolo laboratorio che lavora all’interno dell’ateneo. Vengo spesso da Londra per alimentare questa realtà e credo che nel complesso quello della medicina rigenerativa sia un ambito fortunato.
    Ritengo, però, che la questione irrisolta in Italia sia quella di attrarre cervelli dall’estero. Non serve richiamare gli italiani che per loro scelta sono andati altrove, è necessario piuttosto che arrivino giovani ricercatori da altri paesi. Si ottiene questo risultato rendendo una carriera svolta in Italia competitiva quanto una realizzata in Inghilterra o Germania. La chiave è ancora una volta incentivare il merito. Il nostro paese ha tanti punti di forza: bisogna creare le condizioni per cui i talenti, magari attratti dalle bellezze turistiche dell’Italia, vi trovino anche una motivazione per trasferirsi e fare ricerca.