Nella discussione sulla globalizzazione l’attenzione si è ovviamente concentrata sulla crisi finanziaria, anche se poi l’analisi degli aspetti si breve periodo ha ceduto il passo a quella di medio e lungo termine.
La domanda principale circa la natura di tale crisi è se sia da considerare un evento ciclico o un cambiamento strutturale. Concordare con la seconda ipotesi significherebbe che stiamo assistendo al collasso di un modello consolidato e alla fine del capitalismo e della globalizzazione così come li conosciamo. Tuttavia, l’opinione più diffusa è orientata all’interpretazione opposta: questi non sono gli ultimi giorni di vita del capitalismo e della globalizzazione, ma è inevitabile che questi necessitino di una riforma delle regole e delle istituzioni sulle quali si fondano. La governance mondiale deve essere riformata, appare urgente un approccio multilaterale più forte e gli attori dell’economia richiedono norme e controlli più efficaci.
Quello che non è chiaro è come potrebbe, o dovrebbe, essere questo nuovo ordine mondiale. In sintesi, esiste un consenso su queste due affermazioni: 1) In generale, negli ultimi decenni la globalizzazione ha creato migliori condizioni di vita per tutti, ha generato maggior benessere e ha ridotto la povertà; 2) A seguito di questa crisi abbiamo bisogno di una nuova forma di globalizzazione.
I partecipanti hanno espresso opinioni divergenti su cosa di fatto non abbia funzionato nella nostra visione dell’ordine mondiale e, di conseguenza, che forma dovrebbe assumere un nuovo assetto globale.
La seconda parte della discussione si è spostata dagli aspetti finanziari a quelli economici. Da questo punto di vista, la crisi si presenta assai complessa e può essere descritta più come una tempesta perfetta che non come uno tsunami. Diversi fattori si sono perfettamente combinati ad aggravare l’effetto di diversi shock: lo scoppio della bolla del mercato immobiliare che ha generato una flessione economica ancor prima della crisi finanziaria; l’aumento dei prezzi delle materie prime che ha generato inflazione e ha colpito la fiducia dei consumatori; le economie emergenti che hanno visto livelli molto alti di inflazione; ed infine, il cambio delle valute estere. In secondo luogo la recessione è iniziata prima della crisi finanziaria e non è giunta inaspettata. La speculazione sui mercati immobiliari, ad esempio, è stata anomala, ma molti governi non sono intervenuti perché potevano beneficiarne.
In terzo luogo il mercato delle materie prime è strettamente collegato alla fluttuazione economica. Per evitare la volatilità di questo settore, potrebbero essere decisive tre azioni: 1) aggiungere valore alle materie prime; 2) sostenere gli agricoltori per migliorare gli standard; 3) promuovere tecnologie utili.
Dal dibattito sono emerse una serie di conclusioni: quella del protezionismo è una scelta sbagliata; la crisi è servita da monito: le società devono operare in un ambiente diverso, con minori mezzi finanziari, maggiore operosità, comportamenti più etici ed una maggiore responsabilità sociale d’impresa.