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Scienza e tecnologia per la competitività delle aziende

  • Milano
  • 11 Novembre 2025

        In uno scenario economico e politico in rapida evoluzione, scienza e tecnologia rappresentano leve decisive per la competitività delle imprese Le aziende italiane, inserite in un vasto tessuto di piccole e medie realtà, hanno dimostrato grande creatività e resilienza in condizioni difficili: questa capacità adattiva può fornire un importante punto di partenza per affrontare i cambiamenti in atto, ad iniziare dalla rivoluzione tecnologica.

        La prima sfida in questo campo riguarda il sistema italiano dell’innovazione che presenta luci e ombre. Con l’1,38% del PIL investito in R&S contro una media europea del 2,26%, il Paese sconta un ritardo strutturale aggravato da carenze nella collaborazione pubblico-privato. I 520.000 addetti al settore sono meno della metà rispetto ai principali competitor europei, con retribuzioni medie di 53.000 euro contro i 90.000 della Germania. Si tratta di un divario che alimenta la fuga dei cervelli: 97.000 laureati hanno lasciato l’Italia negli ultimi dieci anni.

        Nonostante tali limiti, la ricerca italiana dimostra qualità: l’impatto citazionale supera del 26% la media mondiale, con il 13,5% delle pubblicazioni nella top ten globale. Questa performance è ancora più sorprendente considerando che l’Italia è tra i Paesi più anziani – con proiezioni al 2050 che indicano una popolazione over 65 tre volte superiore a quella giovane – e che altri Paesi offrono maggiori gratificazioni ai ricercatori.

        Parlando di tecnologia è impossibile sottovalutare l’impatto dell’intelligenza artificiale, una realtà sempre più presente nella vita quotidiana delle imprese e delle persone. La sua velocità senza precedenti e la sua capacità di coinvolgere ambiti così diversi – dagli assetti produttivi alla sfera personale – la rendono molto diversa dalle rivoluzioni tecnologiche del passato. Se queste, dispiegandosi nei decenni, hanno permesso di affrontare con gradualità gli impatti economici, politici e sociali che generavano, l’IA pone sfide molto più grandi in un orizzonte estremamente compresso. La vera questione, quindi, non riguarda più l’opportunità di adottarla, ma la capacità di governare la sua adozione.

        Le infrastrutture digitali del Paese, in ogni caso, sono in sviluppo: la copertura della fibra verrà completata entro il 2027, mentre cresce il numero di data center e supercalcolatori. Eppure la capacità di approfittare della crescente infrastrutturazione digitale varia ancora notevolmente in base alle dimensioni delle aziende: i dati riconducibili alla vasta area metropolitana milanese, fra i principali distretti manifatturieri europei, indicano che il 60% delle grandi imprese ha avviato progetti pilota sull’IA, contro il 15% delle medie e appena il 7% delle piccole. Questo divario non dipende dai costi – relativamente accessibili – ma dalle competenze interne e dalla capacità di ripensare i processi organizzativi. La trasformazione innescata dall’IA del resto è principalmente organizzativa: la tecnologia segue, ma serve prima una strategia chiara.

        In un tale quadro non va sottovaluta la grandissima opportunità offerta dall’adozione dell’intelligenza artificiale: valorizzare l’enorme giacimento di dati industriali del manifatturiero italiano significa aumentare la produttività e generare benessere. Sono già nati progetti in questo campo per creare standard comuni, renderli interoperabili e svilupparli in ambiente protetto, favorendo la “coopetizione” e condividendo dati in un contesto associativo tutelato per addestrare l’IA.

        Il Paese deve partire dai propri punti di forza, sia in settori avanzati come la robotica e la farmaceutica, sia nella capacità storica di applicazione delle tecnologie. Mancano però campioni nazionali nei settori tecnologici. Per far questo è necessario abbandonare la logica distributiva degli incentivi per la ricerca, favorendo la creazione di eccellenze nazionali. Attori sufficientemente solidi sono capaci anche di favorire il trasferimento tecnologico: il modello tedesco degli istituti Fraunhofer – che genera tre euro di gettito fiscale per ogni euro investito – dovrebbe essere considerato una best practice per affrontare il problema dell’accesso alla ricerca per le PMI italiane. Altre esperienze europee indicano poi l’importanza di un quadro chiaro e stabile di incentivi per le imprese, non subordinati a contingenze di bilancio annuali.

        La sfida però non è solo economica, ma anche culturale. Mentre a livello globale la maggioranza della popolazione percepisce algoritmi e nuove tecnologie come parte della vita quotidiana, l’Italia presenta un profilo che si può definire come pragmatico e diffidente, inserito nel quadro di un atteggiamento europeo riflessivo e fortemente basato su una cultura della regolazione.

        L’accettazione pubblica dell’IA, fattore abilitante per favorire l’adozione della tecnologia nella società e nel tessuto economico, richiede quindi formazione e interventi per colmare le asimmetrie informative tra cittadini. È necessario orientare gli interventi pubblici su tre assi: il primo riguarda le infrastrutture e la connettività diffusa per favorire l’utilizzo della tecnologia; il secondo passa dalla predisposizione di un’adeguata narrazione politico-istituzionale che presenti l’IA come progetto collettivo; l’ultimo, ma non meno importante, prevede il rafforzamento del capitale educativo e della fiducia sociale. La sfida per l’Italia consiste, infatti, nel democratizzare i sostenitori dell’IA, superando l’opportunismo che sembra caratterizzare il quadro attuale e cambiando cultura organizzativa e sociale. Solo così il Paese può governare questa trasformazione anziché subirla.