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Rethinking the energy transition in Europe: Nuclear power and its implications for business

  • Roma
  • 12 Novembre 2025

        L’energia nucleare è tornata sotto i riflettori negli ultimi anni come protagonista delle politiche di decarbonizzazione e di sicurezza energetica. Come riconosciuto anche dalla Conferenza sul clima della Nazioni Unite (COP 28) questa tecnologia può assumere un ruolo chiave nella decarbonizzazione e già figura nella maggior parte degli scenari sul raggiungimento di emissioni zero al 2050.

        Le proiezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica indicano che la potenza installata globale potrà crescere dagli attuali 372 GW fino a un range compreso tra 514 e 950 GWt entro il 2050, con lo scenario più ambizioso che prevede una capacità 2,5 volte superiore a quella attuale. Un tale sviluppo si articola intorno a quattro direttrici principali: l’estensione della vita operativa delle centrali esistenti; il recommissioning di impianti che possono essere riportati in funzione; la costruzione di nuovi impianti di grande scala e lo sviluppo di strutture più piccole, dai Small Modular Reactors (SMR) fino alla costruzione di microreattori all’interno di siti industriali. Più tempo è necessario per valutare il potenziale ruolo della fusione nucleare, tecnologia che sembra richiedere ancora decenni di sviluppo prima di una possibile industrializzazione.

        La Cina rappresenta l’esempio più significativo di questa rinascita nucleare: dei reattori attualmente in costruzione nel mondo, circa la metà si trova in territorio cinese. Il gigante asiatico dimostra come l’energia nucleare possa contribuire alla decarbonizzazione di un’economia in rapida crescita. Anche altri paesi emergenti stanno investendo significativamente, mentre in Occidente, gli Stati Uniti hanno fatto del nucleare una priorità bipartisan: l’amministrazione Biden ha puntato a quadruplicare la capacità installata, mentre la presidenza Trump sta provando a snellire le autorizzazioni, pur arrivando a indebolire il regolatore con effetti potenzialmente dannosi. Il Canada, inoltre è il primo paese OCSE a costruire un SMR commerciale. Anche il Giappone sta riattivando l’attività nucleare sospesa dopo Fukushima.

        Si sta muovendo pure l’Europa, con progetti rilevanti in Francia, Regno Unito, Polonia e in tutto l’Est. Secondo la Commissione Europea, la capacità nucleare tradizionale nell’UE dovrebbe salire dagli attuali circa 98 GW a circa 109 GW entro il 2050, con un fabbisogno di investimenti pari a circa 241 miliardi di euro (di cui circa 205 miliardi per nuove costruzioni e circa 36 per l’estensione della vita utile degli impianti esistenti). L’Italia ha recentemente aderito come membro effettivo all’Alleanza europea per il nucleare, superando il precedente lo status di osservatore, e 46 aziende nazionali sono entrate nell’Alleanza Industriale Europea sui piccoli reattori modulari, segnalando l’interesse del sistema imprenditoriale verso questa tecnologia.

        Il Paese ha l’opportunità di trasformare questa ambizione in una politica di lungo periodo, migliorando la competitività del sistema industriale; può contare, del resto, su competenze e aziende che sono rimaste all’avanguardia in questo campo nonostante le scelte politiche compiute in passato. Per concretizzare gli sforzi è necessario un orizzonte e una chiara politica energetica: per l’Italia la soluzione ottimale al 2040 potrebbe consistere in un mix con 80% di rinnovabili e 20% di nuovo nucleare, fondamentale anche per le esigenze dell’industria, campo in cui impianti più flessibili come gli SMR possono giocare un ruolo.

        Le sfide economiche e tecnologiche

        L’energia nucleare negli Stati Uniti e in Europa è molto competitiva se si guardano gli impianti esistenti, ma rischia di non esserlo nella costruzione di nuove centrali, con numerosi ritardi e notevoli sovraccosti. Questo non dipende dalla tecnologia – la grande maggioranza dei reattori in costruzione sono del tipo tradizionale raffreddato ad acqua – né dal costo del lavoro. La causa principale risiede nel fatto che i Paesi europei e gli Stati Uniti hanno smesso di costruire centrali negli ultimi decenni del secolo scorso, indebolendo la catena di fornitura. La supply chain è più efficiente e meglio coordinata in Asia, dove l’impegno nei confronti del nucleare è rimasto stabile e consente oggi tempi di  costruzione molto più contenuti.

        Per accelerare nella realizzazione di nuove centrali servono tre elementi fondamentali. Il primo è un quadro regolatorio che dia certezza a investitori, operatori industriali e attori della filiera, basato sulla neutralità tecnologica. Il secondo riguarda la necessità di velocizzare i processi costruttivi e autorizzativi; maggiore modularizzazione e fabbricazione off-site sono elementi essenziali per raggiungere l’obiettivo. Il terzo elemento consiste nell’attrazione di capitali privati: non è realistico finanziare tutto con risorse pubbliche, specialmente in Paesi ad alto debito come quelli occidentali.

        Secondo la IAEA, gli investimenti globali nell’energia nucleare devono crescere da circa 50-60 miliardi di dollari all’anno (periodo 2017-23) a circa 125 miliardi all’anno per poter realizzare lo scenario più ambizioso di capacità nucleare al 2050. In questo ambito i fondi pubblici potranno fungere da strumento di derisking per facilitare gli investimenti privati e creare effetto leva. Sarà importante disegnare il financing in base alle esigenze e peculiarità di ciascun Paese, anche grazie alla disponibilità di nuovi strumenti finanziari come i green bonds, poiché il nucleare è giudicato sostenibile in molte giurisdizioni, inclusa l’Unione Europea.

        Nel disegno di piani adeguati di finanziamento, un aspetto critico riguarda la valutazione dei costi: non si possono considerare solo i costi livellati di generazione (LCOE), ma occorre guardare agli oneri di sistema complessivi, includendo distribuzione, storage e necessità di bilanciamento tra diverse fonti, in un quadro di crescente pressione, anche geopolitica, sulla sicurezza energetica.

        A tale riguardo sembrano marginali le preoccupazioni sulla disponibilità di uranio. Il carburante è stato storicamente un punto di forza del settore per costi contenuti e disponibilità. Certo, negli ultimi cinque anni le tensioni geopolitiche e la crescita della domanda hanno cambiato il quadro. La Russia è un fornitore storico di carburante per le centrali e sta sviluppando la propria filiera con progetti in Bangladesh, Uzbekistan, Egitto e Bielorussia, legando questi paesi per decenni per assistenza e forniture. Tuttavia l’Occidente sta creando nuove filiere, anche nell’arricchimento, in Europa e Stati Uniti, che dipenderanno dalla concretizzazione degli investimenti necessari. In questo ambito le due sponde dell’Atlantico potrebbero collaborare, vista l’esperienza europea nello smaltimento e nella gestione virtuosa delle scorie.

        In sintesi, la svolta verso una ripresa della produzione da energia nucleare è in atto. E questo anche se i nuovi progetti, per la complessità e la lunghezza di realizzazione, rischiano di non intercettare la crescente domanda di energia per applicazioni digitali e per l’elettrificazione che nei principali mercati occidentali, ad iniziare dagli Stati Uniti, sarà fino al 2030 coperta in gran parte dal gas. È necessario però uno sguardo di più lungo periodo che guardi alle sfide future a medio termine della decarbonizzazione e della sicurezza. L’Europa, una volta motore principale in questo campo, si deve riattivare concentrandosi su alcuni fattori abilitanti. In primo luogo, serve una supply chain diversificata e un’economia circolare per il backend nucleare. In parallelo, la formazione di competenze costituisce un elemento chiave: la rinascita del settore può generare a livello continentale centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro qualificati. Questi interventi devono essere accompagnati da un ecosistema istituzionale adeguato, che include regolatori indipendenti e una solida cooperazione internazionale. Non meno cruciale è il coinvolgimento dell’opinione pubblica, che ha ricominciato a guardare con maggiore favore al nucleare: l’obiettivo è costruire fiducia grazie a comunicazioni chiare e a processi decisionali trasparenti specie per quanto riguarda aspetti sensibili come la gestione delle scorie.