Vai al contenuto

Infrastrutture: come costruire l’Italia del futuro

  • Roma
  • 11 Febbraio 2025

        Le grandi infrastrutture di oggi modellano il Paese di domani. Il futuro è strettamente legato alle scelte compiute nel presente, poiché ogni opera segue un ciclo di vita che va dall’ideazione alla progettazione, dalla costruzione alla manutenzione; un processo che, nella maggior parte dei casi, supera il decennio. È quindi essenziale interrogarsi sulla validità della realizzazione di un’infrastruttura nel lungo periodo con riferimento alla capacità di rispondere alle esigenze per cui è stata concepita.

        L’Italia si trova in un contesto di forte competizione internazionale, dove Paesi come la Cina hanno investito massicciamente nelle infrastrutture, realizzando ad esempio 42.000 km di alta velocità ferroviaria dal 2007 a oggi. Al contrario, il nostro Paese è rallentato da un sistema decisionale complesso e da una burocrazia inefficiente, fattori che ostacolano la realizzazione di grandi opere. In un tale quadro, è importante sottolineare che persino la scelta di non costruire infrastrutture ha conseguenze gravi, sul piano non solo economico, ma anche sociale. Un esempio evidente è la situazione in Africa, dove la carenza di infrastrutture è una delle principali cause delle migrazioni, ma anche in Italia, la mancata realizzazione di opere strategiche ha un impatto significativo. Un caso di rilievo nel dibattito pubblico riguarda il Ponte sullo Stretto di Messina, progettato per collegare la Sicilia al resto del Paese e favorire lo sviluppo del Mezzogiorno. La sua realizzazione è stata più volte sospesa per motivi politici ed economici. Si tratta di un’opera ingegneristicamente assai complessa, situata in un’area a elevato rischio sismico, che richiede un coefficiente di sicurezza di gran lunga superiore alla media delle grandi opere realizzate nel Paese. A incidere è anche la sostenibilità economica che dipenderà dall’integrazione con la rete ferroviaria e autostradale nazionale, oltre che dall’effettivo utilizzo del ponte (Traffico Giornaliero Medio-TGM).

        In ogni caso, molte infrastrutture italiane risalgono agli anni Sessanta e Settanta e hanno ormai raggiunto o superato la loro vita tecnica, stimata intorno ai 50 anni. L’Autostrada del Sole, fondamentale per l’unificazione del Paese, è un chiaro esempio di infrastruttura che necessita di un serio piano di manutenzione e adeguamento. In altre tratte, l’assenza di periodici interventi strutturali ha già portato a tragedie, come il crollo del Ponte Morandi, mettendo in evidenza l’urgenza di adottare un approccio preventivo nella gestione e manutenzione delle opere pubbliche. Innovazioni come il calcestruzzo autorigenerante, il Building Information Modeling (BIM) e la robotica applicata alla diagnostica strutturale potrebbero migliorare la gestione delle infrastrutture e ridurre i costi di manutenzione con interventi mirati e preventivi. Tuttavia, la loro diffusione è ancora limitata a causa di ritardi normativi e di una burocrazia che ostacola l’adozione di tecnologie avanzate.

        Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con i relativi investimenti per 209 miliardi di euro, rappresenta una occasione storica per modernizzare le infrastrutture italiane. Resta quindi da capire quale sarà il futuro del settore delle costruzioni dopo la scadenza del piano, nel giugno 2026. Il problema principale non riguarda solo la costruzione di nuove opere, ma anche la rigenerazione delle infrastrutture esistenti. Troppi progetti, infatti, vengono avviati senza una visione a lungo termine, rischiando di diventare obsoleti prima ancora di essere completati. È necessario a tal fine semplificare il Codice degli Appalti, migliorare la gestione delle gare pubbliche e ridurre la burocrazia per rendere il settore più competitivo.

        La discussione sulle infrastrutture in Italia è spesso, poi, condizionata da scelte politiche a breve termine. Un esempio è il referendum sul nucleare del 1987, che ha bloccato la ricerca e lo sviluppo di un settore strategico, rendendo l’Italia dipendente dall’importazione di energia. Allo stesso modo, il dibattito sul Ponte sullo Stretto o sui termovalorizzatori è stato frequentemente influenzato dalla “strategia della paura”, con il rischio che considerazioni puramente ideologiche impediscano la realizzazione di opere invece decisive per il futuro economico del Paese. In altri Paesi, anche di fronte a governi di orientamento politico opposto, le grandi opere vengono portate avanti con la continuità necessaria alla loro realizzazione e con una visione strategica di lungo termine. 

        Il mancato investimento in infrastrutture ha un costo enorme per l’Italia, stimato in 100 miliardi di euro l’anno in termini di mancata crescita e competitività. È quindi necessario un cambio di paradigma: costruire non solo per rispondere alle necessità attuali, ma per garantire un futuro solido alle prossime generazioni. Le infrastrutture rappresentano, del resto, il fondamento dello sviluppo economico e sociale di un Paese. La politica ha la responsabilità di superare la burocrazia ritardante, permettendo l’adozione di tecnologie innovative, e di pianificare strategicamente il futuro. Occorre, quindi, che le amministrazioni, specie a livello locale, non alimentino sterili dibattiti influenzati dalla “trappola del consenso”, alimentata a sua volta dai fenomeni nimby (not in my backyard), contribuendo così a paralizzare progetti e iniziative.

        L’Italia ha tutte le competenze tecniche e ingegneristiche per realizzare opere d’eccellenza ma, senza una visione lungimirante e un approccio proattivo, il Paese rischia di perdere competitività e di compromettere il benessere delle generazioni future. Il futuro, infatti, dipende da ciò che si decide di costruire oggi.

          Contenuti correlatiVersione integrale della ricerca