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Attività

Ripensare il futuro al tempo dellʹIntelligenza Aumentata

    Incontro e dibattito con Enrico Cereda
    • Milano
    • 12 Giugno 2018

          Il dibattito sugli impatti delle tecnologie di frontiera, come l’intelligenza artificiale, sul mondo delle imprese e delle professioni e, indirettamente, sui sistemi educativi e sociali, ha assunto un carattere d’urgenza. Le nuove prospettive aperte impongono una riflessione anche a classi intellettuali e politiche, tipicamente non inclini a certe tematiche, che negli anni passati erano confinate a nicchie altamente specializzate e ristrette del mondo della tecnologia e, parzialmente, dell’accademia.

          Sebbene la tematica dell’intelligenza artificiale non sia nuova, in quanto affonda le sue radici negli anni ‘50, i rallentamenti che questa tecnologia ha avuto tra gli anni 70-80 e tra fine anni ‘90 e inizio anni 2000, a fronte di aspettative molto elevate, ha creato una disillusione permanente. Un’incertezza che non agevola l’affermarsi di una visione chiara e lungimirante sul rapporto sempre più stretto tra uomo e macchina.

          L’attenzione dichiarata del mondo industriale è di concentrarsi sempre più sull’uomo e di considerare la macchina come un sussidio per aumentare le capacità del singolo come poter ad esempio leggere in pochi secondi milioni di documenti destrutturati e identificare correlazioni tra essi. Eppure la convergenza e la velocità dell’innovazione tecnologica, determinerà una sostituzione totale non soltanto di lavori meccanici, ma anche di mansioni intellettuali altamente ripetibili. Alcuni studi stimano che il 20-30% dei lavori attuali non esisteranno più nei prossimi 30  mesi. Un impatto così dirompente, e soprattutto non più considerato come uno scenario futuribile, ma già in fase di realizzazione, sposta il dibattito su due aspetti, che disegneranno la società dei prossimi anni: il primo riguarda lo “skill gap” e il ruolo del sistema educativo e delle aziende private. Il secondo è la prospettiva del welfare ai tempi di una crisi del capitalismo che ha caratterizzato l’economia negli ultimi 50 anni.

          Di fronte ad uno scenario in rapida evoluzione, scuola e università sembrano incapaci di adattarsi prontamente, restando ancorate a programmi didattici vetusti o comunque carenti rispetto allo stato dell’arte: una caratteristica, questa, che accomuna le materie scientifiche e anche i programmi più strettamente umanistici. A fronte di questa inerzia, le aziende private stanno mettendo in atto iniziative di formazione continua del proprio personale, sia dei neoassunti ma anche per quei dipendenti le cui conoscenze non siano più adeguate. Tuttavia, è lecito chiedersi se e fino a quando le aziende private potranno o dovranno sostituirsi a quelle strutture statali, che hanno come missione proprio la formazione dei lavoratori del futuro.

          L’altra questione fondamentale è quella relativa ad una società che riduca le diseguaglianze e la povertà, ma che al tempo stesso non mortifichi e svilisca la nobiltà del lavoro. Reddito di cittadinanza, riduzione dell’orario di lavoro, riqualificazione del concetto di profitto in no profit o profitto “sociale”, sono solo alcuni degli scenari di possibile attuazione.

          Il dibattito è solo all’inizio: gli scenari ipotetici sono molteplici, fra cui quello di essere “trascinati” dalla velocità del cambiamento. È importante affermare, definendo un percorso e le relative risorse e obiettivi, la capacità dell’Italia di governare questa grande trasformazione.

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