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Attività

Pivot to Europe: options for a new Atlantic century

    • Venezia
    • 4 Ottobre 2013

          I recenti sviluppi negli Stati Uniti, con lo “shutdown” (almeno parziale) della macchina federale, evidenziano che  i sistemi politici su entrambe le sponde dell’Atlantico presentano molti aspetti disfunzionali. In una fase di ripresa economica incerta, per molti versi fragile e certamente asimmetrica (sia tra settori diversi che tra paesi diversi), l’efficienza decisionale dei governi è cruciale, ma al contempo si deve riconoscere che il vero fattore decisivo è la capacità delle economie transatlantiche di crescere. In tal senso, è indispensabile quantomeno che l’azione governativa non freni i trend positivi verso una maggiore fiducia dei mercati, verso il rilancio della domanda e della produzione.

          Emergono, comunque, alcuni elementi fondamentali di consenso transatlantico: anzitutto l’esigenza di ridurre la spesa pubblica (soprattutto in alcuni paesi) per rendere sostenibile la traiettoria del debito; in secondo luogo, il rilancio degli investimenti, dai quali dipende poi anche l’occupazione. Queste priorità saranno senza dubbio declinate in modi diversi da ciascun paese ma restano ineludibili secondo la maggioranza dei partecipanti.

          È evidente che le opzioni di politica economica e le scelte degli attori privati sono fortemente influenzate anche dal contesto internazionale e gli ultimi anni hanno visto vari episodi che sembrano corroborare le tesi più pessimistiche sul declino dell’influenza occidentale in vari teatri regionali di crisi e instabilità. I segnali sono però contrastanti riguardo alla capacità degli Stati Uniti e degli alleati europei di contenere rischi e minacce nel Medio Oriente allargato, anche perché stanno cambiando i tipi di rischio – sempre più transnazionali e non-statuali. L’amministrazione Obama è orientata a delegare più responsabilità che in passato ad alleati e partner regionali (in certa misura anche in Asia, dove le sfide sono per ora di tipo più tradizionale), ma su diversi dossier Washington è tuttora l’attore decisamente più influente ed è in grado di cambiare gli equilibri. Questo è probabilmente il caso del dossier iraniano, dove a differenza di quello siriano gli interessi nazionali americani sono direttamente in gioco e, dunque, viene esercitato un ruolo di leadership più marcato, sia in chiave diplomatica (di gran lunga privilegiata da Obama) che di eventuali opzioni militari.

          Nel contesto di bilanci sotto forte pressione e scontento sociale diffuso su entrambe le sponde dell’Atlantico, è naturale che tendano a prevalere le priorità interne, a maggior ragione in una fase in cui i grandi flussi globali toccano direttamente anche i singoli i cittadini stimolando l’adozione di misure difensive e di chiusura verso l’esterno. In questa prospettiva, l’avvio dei negoziati per la Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è una grande opportunità per rinsaldare e rinnovare i legami euro-americani, ma richiede un forte sforzo concertato di persuasione da parte dei leader politici e del business. In sostanza, l’ulteriore liberalizzazione degli scambi transatlantici implica un pieno riconoscimento del ruolo degli stati (e degli accordi da essi stipulati) come garanti di regole di mercato avanzate, ma non come operatori economici in prima persona: si deve, dunque, puntare a mercati più efficienti e non ad un peso ancora maggiore delle autorità politiche nei meccanismi economici. Il problema è che questo principio generale può essere interpretato e applicato in vari modi e gradazioni, e questo è il motivo per cui “il diavolo sta nei dettagli” quando si tratta di concordare regole in parte nuove per il commercio e gli investimenti.

          La dimensione del commercio transatlantico è tale da far sì che ogni accordo tra USA e UE avrà un forte impatto globale e dunque una valenza strategica, diplomatica e di sicurezza. Nonostante l’enfasi posta dall’amministrazione Obama sul crescente peso specifico dell’Asia, gli interessi americani restano strettamente legati al destino dell’Europa, come anche del Medio Oriente: lo confermano una volta di più le recenti vicende del dossier siriano e iraniano, che hanno peraltro riportato sulla scena internazionale la Russia con un ruolo per certi versi superiore al suo reale potenziale complessivo.

          Il processo negoziale della TTIP potrebbe inoltre avere come effetto indiretto quello di compensare le tendenze all’introversione su entrambe le sponde dell’Atlantico, spingendo le elites e le opinioni pubbliche a prendere nuovamente maggiore coscienza dei benefici di lungo periodo dell’interdipendenza. La nuova partnership economica non avrà probabilmente lo stesso respiro strategico che ha avuto la NATO durante la guerra fredda (e in parte negli anni successivi), ma sposterà in certa misura gli equilibri mondiali consentendo all’Occidente un parziale recupero del potere negoziale perduto negli ultimi anni. In particolare, la definizione di regole e standard condivisi spingerà anche altri grandi protagonisti dell’economia globalizzata a rivedere le proprie regole sugli scambi, innescando un processo virtuoso. Sebbene siano comprensibili e legittime le preoccupazioni di chi resterà escluso dagli accordi in quanto tali (si pensi alla Cina, ma anche al Giappone o alla Turchia, che hanno stretti rapporti con le economie occidentali), nel complesso gli effetti della TTIP saranno positivi, incoraggiando una convergenza verso migliori standard.  In ogni caso, mentre il quadro generale della TTIP andrà definito in tempi relativamente rapidi, per varie questioni specifiche e importanti si dovrà ricorrere a negoziati ad hoc proprio nel contesto di quel quadro: non un percorso facile ma potenzialmente un processo virtuoso.

          • Pivot to Europe: options for a new Atlantic century, Venezia, 4-5 ottobre 2013
          • Daniel Franklin, Marta Dassù e Monica Maggioni
          • Giulio Tremonti e Walter Isaacson
          • Carlo Scognamiglio Pasini e William Drozdiak
          • Robert Lawrence, Marc Vanheukelen e Daniel Franklin
          • Giulio Tremonti e Paolo Savona