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Attività

L’impresa, fra innovazione e valore sociale

    • Milano
    • 9 Novembre 2018

          Il dibattito si è incentrato sul ruolo dell’impresa che, per affermarsi in un mercato globale, deve necessariamente essere motore d’innovazione e, al contempo, creatrice di un valore sociale che vada oltre i numeri del conto economico e dello stato patrimoniale. La discussione è poi proseguita affrontando il tema dei giovani e del lavoro soffermandosi sulla necessità di creare dei  percorsi formativi attenti alle necessità del mercato del lavoro e capaci di rispondere efficacemente alle esigenze, in continua evoluzione, delle imprese.

          Per l’impresa da un lato  vi è l’obbligo di innovare, condizione imprescindibile affinchè le aziende italiane mantengano un vantaggio competitivo basato sulla qualità dei propri prodotti; dall’altro la necessità di creare un profitto che vada a beneficio dell’intero contesto sociale in cui l’impresa opera, e non a suo discapito. Tra i molti spunti di riflessione offerti, si è più volte sottolineata l’importanza di creare una cultura aziendale dell’errore, inteso sia come modo di dare libero sfogo al “soffio ispiratore” [tanto caro a Gaetano Zambon], base di qualsiasi innovazione, sia come opportunità formativa per il singolo, a livello personale e professionale. Parallelamente si è tornati a più riprese sul tema della sostenibilità per ribadire quanto una crescita sostenibile non solo produca esternalità positive di grande valore sociale ma, come confermato anche da recenti dati ISTAT, rafforzi il brand, riduca i costi e permetta di trovare nuovi mercati per l’impresa.

          Si è sottolineata l’esigenza di nuovi paradigmi organizzativi, produttivi e commerciali necessari a seguito della cosiddetta quarta rivoluzione industriale. L’imprenditore moderno, indipendentemente dal settore in cui opera, è chiamato a ripensare e riprogettare processi e strategie aziendali per garantire la transizione verso un mercato digitale ed interconnesso. Il focus un tempo riservato alla sola crescita degli utili si é ora spostato sulla crescita dei clienti e della quota di mercato; il contributo delle vendite all’utile aziendale si riduce in termini di rilevanza se paragonato all’apporto derivante dalle rendite degli investimenti in ricerca e proprietà intelletuale. Infine la struttura fortemente gerarchica che caraterizzava l’impresa del XX secolo lascia il posto a imprese con strutture orizzontali che lavorano in co-working, vale a dire utilizzando open space dove é incentivata la discussione e la condivisione tra tutti i livelli organizzativi.

          L’innovazione a livello aziendale non può tuttavia prescindere da una forma mentis [dei singoli] capace di mettere in discussione lo status quo e proporre soluzioni nuove a problemi vecchi. Si è poi evidenziato come l’altissimo livello di disoccupazione giovanile nel mercato del lavoro italiano vada a scontrarsi con il dato secondo cui un’offerta di lavoro su tre rimane insodisfatta per mancanza di candidati con lo skillset adeguato. Non manca, dunque, l’offerta di lavoro. Piuttosto è carente la disponibilità di candidati adatti a ricoprire i ruoli disponibili sul mercato. Colmare questo skill gap in un mercato del lavoro in costante evoluzione non é un compito di per sé facile, ma sicuramente fattibile se intervenisse una cabina di regia politica. In questo modo si potrebbero individuare le giuste condizioni per una collaborazione serrata e costante tra imprese e centri di formazione, finalizzata ad individuare le competenze richieste e a creare percorsi di formazione che massimizzino l’employability.

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