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Attività

L’economia digitale e il lavoro che cambia

    I Talenti Italiani all'Estero
    • Roma
    • 10 Giugno 2018

          Dalla robotica all’intelligenza artificiale, dalle piattaforme digitali alla blockchain: l’innovazione sta avendo implicazioni sempre più rilevanti per il mondo del  lavoro. Le trasformazioni non riguardano solo l’ambito aziendale e professionale, ma investono anche la sfera privata. Complice l’invecchiamento della popolazione e gli stili di vita dei millennials, la robotica sarà utilizzata sempre più anche per svolgere attività domestiche. In parallelo, la diffusione della gig-economy sta generando una “rottura” su mercati e modelli di business: cambia il valore aggiunto di prodotti e servizi, mentre i rapporti di lavoro evolvono rapidamente e con connotazioni difficili da prevedere.

          Se è vero che anche in passato l’avvento di nuovi paradigmi tecnologici ha portato a momenti di disruption in campo economico, occupazionale e sociale, è anche vero che la velocità e la portata dei cambiamenti in atto non ha precedenti. Oggi infatti non solo è vero che “nell’economia digitale il lavoro cambia”, ma più verosimilmente “nella dimensione digitale è l’esistenza stessa che cambia”.

          Sono tre i livelli a cui analizzare le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro: la quantità di lavoro, la qualità del lavoro, le regole e la governance. Dal punto di vista quantitativo, anche se il saldo tra la progressiva scomparsa di posti di lavoro e la contemporanea creazione di altri è oggetto di continuo e vivace dibattito, si può dire che probabilmente in futuro vi sarà meno occupazione (almeno nelle forme tradizionali), con una polarizzazione delle funzioni agli estremi dello spettro dei profili professionali. Ciò significa più lavori ad alto e a basso contenuto professionale, con una erosione della fascia mediana.

          Per quanto riguarda la qualità del lavoro, non aumenterà solo la complessità “computazionale” delle attività, ma anche e soprattutto la complessità “emotiva/sociale”. Ciò richiederà un ripensamento radicale delle attività di formazione che dovranno affiancare alle discipline STEM anche quella preparazione su elementi etici e valoriali necessaria per saper leggere i grandi dilemmi che il paradigma digitale pone.

          L’affermarsi di nuove interazioni e nuove interdipendenze ha implicazioni molto rilevanti anche dal punto di vista delle regole e della governance. Si pensi ad esempio al tema della responsabilità: se dieci anni fa i robot industriali assistevano i lavoratori nelle loro funzioni, oggi sono i lavoratori ad assistere i robot. Nell’era della gig-economy, poi, il paradigma di regole tradizionali è stravolto: l’occupazione tradizionale è “re-branded” come un’iniziativa di micro-imprenditorialità, mentre il lavoro è venduto (e remunerato) come una tecnologia.

          In sintesi: le problematiche sono tante e complesse, e non esistono soluzioni semplici. Senza dubbio occorre riconfigurare il processo di sviluppo di competenze, migliorare il dinamismo del mercato del lavoro e la gestione degli strumenti di mobilità occupazionale. Deve essere, inoltre, garantita la disponibilità di strumenti a supporto dei lavoratori in termini di reddito e di gestione delle fasi di transizione. Tali meccanismi devono essere basati su solidi principi di dialogo sociale.

          Ma più di ogni cosa, il pensiero digitale va compreso e trasformato in un enzima che si propaghi e generi effetti positivi sulla vita delle persone e sulle attività delle imprese: non si perde occupazione a causa del digitale, ma a seguito di investimenti troppo limitati, soprattutto nel digitale. Il tutto all’insegna di una franca dialettica fra tutela del lavoratore e innovazione tecnologica, alla ricerca di una crescita sociale ed economica che sia equa ed inclusiva, e che, se necessario, ridisegni un nuovo contratto sociale.