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Attività

Infrastrutture: utili e sostenibili

    • Venezia
    • 20 Maggio 2016

          Un approccio innovativo al tema delle infrastrutture impone di ridefinirne la nozione e ridisegnarne i confini. Se infatti si considera “infrastruttura” ciò che utile allo sviluppo e alla competitività del Paese, appare ineludibile allargare l‘analisi a tutti quei sistemi che consentono ai cittadini e alle imprese di vivere e di operare al meglio: le reti digitali, le università, il sistema finanziario e bancario, sono alcuni esempi di una costante “smaterializzazione” del concetto stesso di infrastruttura, fenomeno che necessita di un approccio multidisciplinare per essere efficacemente analizzato e correttamente valutato.

          In tale prospettiva, le infrastrutture non sono né un bene né un male a prescindere, possono essere l’uno o l’altro nella misura in cui si dimostrino utili al bene della comunità, alla competitività delle imprese e alla valorizzazione dei territori. È proprio in questa discrezionalità che si inserisce l’opportunità della scelta, cifra fondante l’agire politico. In altre parole, una classe dirigente responsabile, definendo le priorità infrastrutturali, dovrebbe avere ben chiari una visione definita di sviluppo e un coerente quadro programmatico da perseguire in modo trasparente.

          Un’infrastruttura realmente utile è, inevitabilmente, anche un’opera sostenibile a livello economico ed ambientale, sociale e finanziario. Se da un lato, infatti, emerge il problema delle risorse e degli investimenti, dall’altro si ha la consapevolezza che la bancabilità non possa essere l’unico criterio di scelta. Qualità dei progetti, proficue partnership pubblico/privato e negoziazione con gli stakeholder sono gli ingredienti per la realizzazione di un sistema infrastrutturale davvero utile e sostenibile. È ormai improcrastinabile la diffusione di una cultura che consenta di passare dalla progettazione di opere per il consenso alla realizzazione di infrastrutture per il servizio: le prime raccontano un sistema politico attento a conservare se stesso, le seconde sono la condizione necessaria per la costruzione di un Paese moderno.

          A livello di governance emergono problemi atavici come la sovrapposizione delle competenze tra diversi livelli istituzionali, i tempi di completamento dei cantieri, i costi spesso fuori controllo e i lunghi elenchi delle opere incompiute. Il Nuovo Codice degli Appalti, appena approvato, affronta nodi irrisolti quali un processo decisionale irto di ostacoli e un numero infinito di norme, causa da un lato di conflittualità e contenziosi eccessivi e dall’altro della diffusione di sacche di opacità inaccettabili. In tale contesto, la stagione inaugurata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha l’ambizioso obiettivo di rilanciare la pianificazione di lungo periodo – 30 anni – e la programmazione triennale – ad aggiornamento costante -, con una particolare attenzione alla manutenzione delle infrastrutture esistenti. Si tratta di una revisione profonda dell’iter di assegnazione degli incarichi, delle modalità di progettazione e di una più ampia flessibilità e semplificazione nella regolamentazione, in nome di una maggiore certezza e stabilità, dove sia chiaro il confine tra la responsabilità politica e la penalizzazione di eventuali comportamenti scorretti.

          Un passo in avanti che, per essere fecondo, ha bisogno di una Pubblica Amministrazione autonoma, competente e adeguata alla complessità della materia, di stazioni appaltanti in grado di gestire le procedure di gara in modo trasparente e, soprattutto, di un contesto normativo/giuridico favorevole al mercato. In ultima analisi, una visione ottimistica che tenga conto della necessità di superare gli schemi inefficaci degli ultimi decenni, nella consapevolezza che un Paese non possa essere realmente vivibile e competitivo senza un sistema infrastrutturale efficiente.

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