Ricerca di sicurezza e anelito a maggiori certezze: le democrazie occidentali – scosse da populismi di vario genere e avviluppate in una persistente crisi economica – stentano a trovare nuovi equilibri e, soprattutto, non riescono ad ottemperare pienamente ai bisogni e alle richieste dei propri cittadini. Crescono paura ed ansia che alimentano – come altre volte nella storia – la tentazione di rivolgersi all’”uomo forte”, in grado di far uscire dall’impotenza e prendere velocemente le necessarie decisioni. Di fatto, nel mondo sono soltanto 40 i Paesi in cui vige la democrazia. Un sistema politico che – paradossalmente – gode di una pessima immagine nei paesi che lo hanno adottato e di un’immagine molto alta – quasi romantica – nei paesi che democratici non sono, a cominciare da Russia e Turchia.
A fronte delle fragilità di un sistema complesso e per sua natura fatto di mediazioni – quale è la democrazia – il cittadino sembra preferire, come conferma l’autorevole The Economist, una leadership forte e autoritaria che non debba fare i conti – ad esempio – con l’impasse e le complessità della vita parlamentare. In un certo senso è questa la risposta che l’elettore americano ha voluto dare scegliendo Donald Trump.
Oggi è in ascesa la cosiddetta “democrazia liquida istantanea “, che ormai erode le basi della democrazia rappresentativa. La politica si fa al di fuori dai partiti e dei corpi intermedi anche se restano alcuni “ punti luce” di riflessione ed elaborazione che però non fanno più sistema.
In questo contesto anche l’Italia è chiamata ad una riflessione sul suo futuro, partendo da una storia complessa e multiforme. E attenzione: non è certo la politica a poter cambiare un popolo, ma ogni politica deve fare i conti con quello che nei secoli storia e cultura hanno lasciato.
Nel secondo dopoguerra – come sostiene Giuseppe De Rita nel volume “Il Consolato Guelfo” presentato durante il dibattito – si è per tanto tempo ragionato su una prospettiva chiusa dei confini italiani. Al massimo l’Europa era la frontiera, la modernità. Oggi i confini sono allargati a Sud, al Mediterraneo e all’Africa. Un vero cambiamento antropologico, dove emerge in tutta la sua complessità il confronto con l’altro, con la diversità, politica, sociale e religiosa. E tale confronto provoca spesso ansia, mancanza di sicurezza, poche certezze. Anche i fondamentali che interpretavano per gli ultimi quaranta anni la società italiana – localismo, economia sommersa, piccola imprenditoria e rapporto con il territorio, solidità morale ed economica delle famiglie – sono messi in discussione. Continua sì ad esserci una voglia dei giovani a fare imprese. Ma nessuno ha l’ambizione di crearla e svilupparla per i propri figli: si vuole semplicemente di portare l’impresa ad un alto potenziale, per poi venderla.
Negli ultimi decenni la società è diventata acentrica, sono scomparse le mediazioni, hanno perso d’importanza ed efficacia i corpi intermedi. Non tutti però concordano: secondo alcuni resistono i gruppi sociali strutturati, con una loro precisa identità e coerenza. Quello che manca è la mobilità sociale, vanno fatti interventi redistributivi per ridurre la disuguaglianza crescente.
Se lo Stato unitario è certamente debole, la mediazione – si è detto- rimane ancora oggi una fonte di risorse da cui muovere. E la risposta alla perdita di senso è nel senso comune del popolo e non nel luogo comune delle élite. Tra i fondamentali del futuro restano il primato della persona, il senso della famiglia, la propensione a fare impresa. Inoltre la forza della tradizione recupera il senso della vita e della vitalità economica e sociale: senza il primo non ci può mai essere la seconda.
Può essere in questo contesto la verticalizzazione del potere e della società la via di uscita? Per molti non è sufficiente: o meglio la verticalizzazione non risolve l’altro grande problema delle società contemporanee, vale a dire la frammentazione. Anzi, per alcuni la verticalizzazione è la fine della democrazia. Ecco allora la proposta del “ Consolato Guelfo” che parte proprio dalla necessità di avere un processo binario – in cui conti anche l’impianto valoriale religioso – che vada oltre la verticalizzazione, e sappia “ generare”, sappia dare vita ad innovazione e creatività. Come una donna – prendendo a prestito una bella immagine del grande poeta Mario Luzi – che genera e che governa. Governerà, dunque, chi saprà generare. E superare le difficoltà del passato innestando dal basso una nuova visione del futuro.