Vai al contenuto
Attività

I giovani e il lavoro

    Incontro con Michel Martone
    • Roma
    • 1 Febbraio 2012

          L’Italia è un Paese per giovani? Come riformare, alla vigilia della ripresa del negoziato sul lavoro, un sistema malato di egoismo generazionale? Con quali idee, costi e risorse? Sono queste le domande che hanno ispirato un dibattito sulla centralità della “questione giovanile”: una sfida che è parte integrante dell’obiettivo prioritario per lo sviluppo del nostro Paese. 

          Siamo al tempo delle scelte: l’edificio che proteggeva il lavoro è diventato fragile, poiché le risorse per gli ammortizzatori sociali si stanno esaurendo. Alcuni suggeriscono di puntellarlo, altri di togliere il tetto per ridurre il peso che grava sulla struttura produttiva e sulle finanze pubbliche. Il risultato del negoziato sulla riforma del mercato del lavoro non può essere  precostituito: anche se in presenza di diverse proposte organiche, non si può prescindere dall’interazione con le parti sociali. Poi la sintesi e le decisioni, necessarie e coraggiose. 

          Dagli anni ’80 si sono perseguiti gli obiettivi di ridurre il lavoro nero e la disoccupazione. Tuttavia, in questi ultimi anni, una generazione di giovani si è persa nel labirinto della precarietà. Invece di rendere più flessibili tutti i rapporti di lavoro per renderli più aderenti ai nuovi modelli produttivi, si è di fatto realizzata una polarizzazione fra insiders, protetti da contratti a tempo indeterminato, ed outsiders, in particolare giovani. Se vogliamo che il sistema torni a crescere, si deve puntare sui giovani e sulle donne. Partendo da alcuni dati oggettivi: la crisi è sistemica e non congiunturale, la ricchezza (capitali e produzione) nel mondo si sta spostando, abbiamo 2 milioni di giovani neet (not in employement, not in education or in training), un tasso di natalità preoccupante, un’età media di laurea in Italia che è più alta di altri paesi europei. Perché si comincino a fare riforme “generazionalmente compatibili” è necessario che i giovani riflettano anche sui propri limiti, non solo sulle colpe dei padri. Serve rileggere l’articolo 34 della nostra Costituzione dove si afferma il diritto universale allo studio relativamente all’istruzione inferiore e per “i capaci e i meritevoli” l’accesso “ai gradi più alti degli studi”. Premiare il merito, mettere a frutto ogni risorsa: ad esempio l’apprendistato, già disponibile e da rafforzare, per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani. Collegare sempre più produttività e retribuzione, ripensare la contrattazione aziendale di secondo livello, dove scontiamo un ritardo di un decennio sui tedeschi e dopo il precedente FIAT.   

          Se una nazione è – come afferma Ernest Renan – “una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme” allora non possiamo prescindere dalla questione femminile. Le donne, in particolare giovani, costituiscono una risorsa che nel lavoro non trova riconoscimento: molte donne si laureano, pochissime riescono ad accedere a posizioni dirigenziali, il livello retributivo può non essere conveniente rispetto ai costi di cura della famiglia. Occorre superare barriere culturali, mettere in campo risorse a sostegno delle donne che lavorano, come gli asili nido, ripensare il nostro welfare mediterraneo.        

            Contenuti correlati