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Attività

Europe after Brexit: a new start or a dead end?

    • Roma
    • 7 Luglio 2016

          La situazione politica nel Regno Unito è confusa e per molti versi imprevedibile nell’immediato post-referendum, visto che l’esito del voto ha preso molti dei protagonisti alla sprovvista, su entrambe le sponde referendarie. Nonostante l’importanza dei nuovi assetti interni che si stanno faticosamente delineando nel paese (anche come riflesso di sfide condivise sul Continente), l’Europa deve concentrarsi sulle proprie responsabilità dirette e sui prossimi passi (istituzionali e politici) rispetto all’uscita di un Paese-membro delle dimensioni del Regno Unito. Sia i governi che le istituzioni di Bruxelles dovrebbero evitare di insistere per una “uscita accelerata” di Londra – perché si tratterebbe di una forzatura rispetto al senso dell’art.50 TEU (che prevede sia il Paese-membro stesso ad attivare la procedura di uscita), e ancor più perché un certo periodo di riflessione e dibattito pragmatico può giovare a tutti. Non è neppure esclusa l’ipotesi che, magari non in tempi brevi, si possa rendere possibile un nuovo referendum britannico.

          Un problema immediato è la gestione del possibile effetto-contagio, particolarmente serio nei Paesi Bassi e in Francia; ma la sfida riguarda in effetti tutti i Paesi-membri, che soffrono di diffusi sentimenti di insoddisfazione verso le autorità e l’approccio ai molteplici problemi socio-economici degli ultimi anni. Non è probabilmente un caso che fenomeni molto intensi di contestazione anti-establishment si siano verificati proprio in due società che sono state investite prima di altre dagli effetti compositi della globalizzazione – cioè appunto il RegnoUnito ma anche gli Stati Uniti, come dimostra anche la campagna presidenziale 2016. Del resto, nel clima attuale in Europa, parte delle colpe che vengono addossate a Bruxelles sono in realtà il frutto di un fallimento o della scarsa efficacia delle scelte politiche a livello nazionale.

          Anche in tale ottica, l’Unione Europea deve valutare con cautela se puntare verso una maggiore integrazione in vari settori-chiave (con il rischio di vedere respinta duramente questa opzione dagli elettori, danneggiando in modo irreparabile la credibilità dell’approccio comunitario), prima di aver condotto una discussione ad ampio respiro con le rispettive opinioni pubbliche per meglio definire interessi e scelte condivise. È altrettanto vero che, soprattutto nell’eurozona, la risoluzione di una serie di problemi richiede obiettivamente un più stretto coordinamento o perfino un vero accentramento di alcune competenze; in ogni caso, il criterio fondamentale da adottare deve essere quello dell’efficacia, con particolare sensibilità verso le richieste della maggioranza dei cittadini.

          Nel valutare i futuri assetti politico-istituzionali, sta crescendo l’interesse per la variante confederale – a fronte dei costi elevatissimi di una vera “dis-unione” e delle ben note difficoltà di una più stretta unione federale. Alcuni ritengono che il più grave errore dal 1989 sia stato la mancata applicazione del principio di sussidiarietà nel fissare le competenze di Bruxelles o quantomeno una sua appplicazione incoerente.

          La partita per il futuro assetto dell’Unione potrà comunque risultare decisiva anche ben oltre i suoi confini, influenzando l’evoluzione dell’intero ordine liberale internazionale, con il suo nucleo euro-americano attarversato da tensioni senza precedenti e da un senso di diffusa sfiducia verso lo stesso modello della democrazia rappresentativa di mercato. Le classi dirigenti dovranno dimostrare una ben maggiore capacità di interpretare le esigenze degli elettori e al contempo far comprendere i meccanismi complessi di una moderna democrazia. Potrebbe dunque essere necessario uno sforzo simultaneo su due binari: un ripensamento dei rapporti istituzionali tra gli organi dell’Unione – soprattutto rispetto al potere legislativo – e una formula politica che superi la contrapposizione tra “establishment” e forze anti-sistema – tuttora da elaborare.

          Guardando al versante economico degli assetti europei, è chiaro che l’impianto dell’eurozona ha sofferto duramente per gli effetti della crisi prolungata: disoccupazione, aumento delle disuguaglianze, aumento del debito privato, crisi ricorrenti del settore bancario, debiti sovrani. L’intera economia dell’Unione – con la parziale eccezione proprio della Gran Bretagna (che è comunque stata colpita da fenomeni di sperequazione, percepiti in modo diffuso) – è poi intrappolata in una fase di bassa crescita. Alcuni esperti ritengono in sostanza che le regole siano ormai state infrante nei fatti, superate e rese irrilevanti o inapplicabili sia da una serie di eccezioni e interventi di emergenza, sia dalla generale sfiducia negli impegni comuni. Un quadro del genere è devastante soprattutto per un’Unione che si fonda sulle regole e ha delegato il loro rispetto a organi preposti e procedure precise.

          A partire da tale constatazione, si aprono però due strade divergenti: una tesi è quella del rafforzamento dei meccanismi di mercato (in particolare per la ristrutturazione del debito e la ricapitalizzazione delle banche); un’altra tesi è quella di un maggiore intervento delle autorità proprio per correggere o prevenire le dinamiche del mercato (soprattutto a tutela delle categorie più deboli). Il dibattito rimane aperto su questa dicotomia di fondo.

          Anche sul principio di sussidiarietà come strumento di gestione economica vi sono opinioni diverse: alcuni osservatori ritengono che le esternalità (a cominciare dal debito) siano un ostacolo decisivo alla semplice applicazione della sussidiarietà. In ogni caso, proprio i debiti sovrani sono considerati la questione cruciale da risolvere per garantire un assetto sostenibile agli accordi europei: in sostanza, da ciò dipende anche il grado di influenza che la UE potrà esercitare nel mondo.

          Altra questione centrale è quella del bilancio comunitario, ad oggi assolutamente insufficiente ad assicurare il corretto funzionamento di tutte le policy necessarie ad un’area economica fortemente integrata ma anche variegata. Un significativo incremento del bilancio renderebbe anche possibile la creazione di un Tesoro europeo e l’attuazione di politiche fiscali condivise ed efficaci.