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Attività

Assessing risk: business in global disorder

    International Dialogue
    • Londra
    • 4 Marzo 2016

          Valutare il rischio – economico, politico, sociale – è per definizione un’operazione di grande difficoltà, e l’elemento del rischio è peraltro ineludibile in un sistema di mercato, essendo legato strettamente alle opportunità di profitto e all’innovazione. L’economia mondiale vive però una fase obiettivamente molto volatile. Il rischio su scala globale per il business è legato alla crescente complessità del sistema economico (dagli strumenti finanziari alla supply chain), all’emergere di nuovi attori, al rapido cambiamento tecnologico che spesso introduce dinamiche fortemente instabili ed effetti quasi del tutto imprevisti.

          Le istituzioni politiche nazionali, ma anche gli organismi tecnici a livello multilaterale, faticano a tenere il passo del cambiamento e hanno così perso una buona parte della propria efficacia e legittimità agli occhi dei cittadini, che sono al tempo stesso elettori e consumatori. L’intreccio che, non soltanto nei sistemi democratici più avanzati e aperti, si realizza tra variabili economiche e scelte politiche, è diventato esso stesso una fonte di grave incertezza, instabilità, e dunque rischio ulteriore.

          In Europa questi fenomeni hanno assunto la forma di una diffusa sfiducia verso il processo di integrazione, ma anche di contestazioni autonomistiche al livello di singoli Stati-membri. Ne è scaturito un dibattito sempre più nazionalista e populista – dunque meno orientato alla cooperazione perfino intergovernativa – a fronte di sfide multiple (dalla competitività all’ambiente, dall’energia ai flussi migratori, dal terrorismo al futuro del Medio Oriente) che in realtà richiedono precisamente uno stretto coordinamento e la messa in comune di risorse ingenti. La discussione in corso su “Brexit”, o comunque sulle condizioni che possano consentire la permanenza della Gran Bretagna nella UE, è un caso specifico in un contesto più ampio di crisi strutturale. Esistono delle opzioni concrete per rendere più efficiente l’Unione europea, ma per realizzarle è richiesto uno sforzo collettivo e una visione lungimirante degli interessi comuni e nazionali. In tal senso, il continente ha bisogno di una leadership solida, coraggiosa e creativa che per ora stenta a manifestarsi – mentre il ruolo centrale della Germania rimane controverso, soprattutto per il modo in cui Berlino ha interpretato la difesa dell’eurozona.

          Tre fattori hanno contribuito a creare un clima sfavorevole agli investimenti produttivi e ai consumi: le incertezze sui prezzi delle commodity (soprattutto dell’energia); la diffusa sfiducia nelle dinamiche politiche e istituzionali (cicli elettorali particolarmente instabili e processi decisionali a Bruxelles); un sistema bancario considerato poco affidabile. Per contrastare questo clima è necessario chiarire meglio (e meglio comunicare e spiegare all’opinione pubblica) i “fondamentali” economici in una fase di grande volatilità, per favorire forme di “good risk-taking” mentre al contempo si riduce il rischio sistemico sulla base delle lezioni acquisite.

          Nella regione mediorientale si è verificata una combinazione di crisi e di forze centripete che ha minato la tenuta di molte costruzioni statuali e ha finito per tracimare verso le regioni circostanti, a cominciare dall’Europa. L’irrisolto nodo centrale che genera ricadute di grave – e violenta – instabilità regionale è quello della qualità della governance: senza un progressivo miglioramento in questo campo si potranno soltanto mettere in campo dei palliativi per contenere o ritardare crisi già in corso. Al di là della varie responsabilità storiche e degli errori commessi dagli attori esterni, vere soluzioni durevoli dovranno essere radicate nelle realtà locali. Il problema è che la scelta americana – e in parte anche europea – di lasciare più spazio che in passato agli attori regionali ha scatenato una forte competizione tra i maggiori Stati che non ha ancora trovato un assetto pacifico e in qualche modo regolato: i tasselli fondamentali di un nuovo equilibrio sono Arabia Saudita, Iran, Turchia, e in certa misura Egitto. Mentre alcune soluzioni geopolitiche potranno emergere nonostante i molti ostacoli (a cominciare dal persistente disastro siriano), resta decisiva la capacità dei governi di rispondere in modo credibile alle grandi sfide sociali (a cominciare da quella demografica) dei prossimi anni.

          Nel quadrante asiatico, la Cina è diventata recentemente un fattore di rischio sistemico, dopo anni in cui ha svolto anzitutto il ruolo di vero motore della crescita globale – e anche di agente di uno spostamento dell’asse mondiale verso il Pacifico e verso i grandi mercati emergenti. In parte stiamo assistendo al previsto aggiustamento cinese verso una maggiore importanza del mercato interno e una maggiore attenzione alla qualità della vita dei propri cittadini (Stato sociale, ambiente, infrastrutture etc.); in parte però è un corso una delicata transizione istituzionale e politica dagli esiti molto incerti. Gli effetti saranno certamente massicci anche sul piano internazionale, vista la dimensione del Paese e la forte dipendenza che molte economie hanno sviluppato rispetto a quella cinese. In ogni caso, la Repubblica Popolare non ha ancora raggiunto, in settori come gli investimenti diretti esteri, un peso corrispondente al suo potenziale produttivo: dobbiamo dunque aspettarci ulteriori scossoni al sistema mondiale degli scambi, anche qualora l’attuale fase di aggiustamento fosse gestita in modo accorto e costruttivo.

          Le nuove tecnologie vengono oggi trasformate in prodotti fruibili quotidianamente con grande rapidità, soprattutto nel settore della digitalizzazione, dei sensori e degli apparecchi portatili. La sfida principale è creare incentivi per la continua innovazione ma anche regolamentare gli effetti delle nuove tecnologie (si pensi alla privacy e al contempo alla cybersecurity per le aziende e le istituzioni). In particolare, la democratizzazione dell’accesso digitale deve essere contemperata da un costante sforzo per il miglioramento della qualità della vita e per la riduzione delle diseguaglianze.

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